A poche giornate dalla fine del campionato e, visto quanto accaduto al Meazza sabato sera durante la partita Inter- Juventus, forse è il caso di tracciare le prime conclusioni sull’avvento della Var nel nostro massimo torneo di calcio.

In prima approssimazione, è giusto riconoscere che molto è cambiato.

Si è dimostrato un’importante ausilio nei momenti di maggiore difficoltà della classe arbitrale.

I più, a torto, sostenevano che avrebbe snaturato la partita con continue e inopinate interruzioni.

Niente di più falso.

Sono proprio queste ultime che hanno notevolmente contribuito allo spettacolo del calcio, fornendo una nuova componente fatta di pathos passione e batticuore, che prima non c’era.

Alla chiamata della Var, il tifoso vive l’inferno o il paradiso e passa dall’uno all’altro nel giro di pochissimi secondi.

Bella o brutta è una nuova emozione a beneficio di chi ama il calcio.

Serviti con ciò, i grandi signori esperti e soloni del calcio, rimaniamo sul pezzo.

La Var non cambia la storia.

Vale a dire che di quest’ultima forse, si cambiano solo gli episodi marginali, le inutili particolarità, ma alla fine i grandi temi rimangono gli stessi.

Anche invertendo l’ordine dei fattori, il risultato finale non muta.

Si prenda ad esempio la vittoria della Juventus contro l’Inter sabato sera.

I tifosi interisti contestano l’influenza dell’arbitro Orsato nella partita, operata  attraverso la unilaterale  somministrazione di cartellini.

Si domandano come sarebbe finita in parità numerica, sia 11 contro 11, o 10 contro 10.

Già, la storia non cambia, mutano gli aneddoti, gli episodi poco influenti, ciò che alla fine non conta o conta poco.

Ciò che permane a dispetto di ogni cosa e che VAR o non VAR gli aiutini a certe squadre continuano ad esserci.

Questo è il vero problema.
VAR promossa o bocciata?

Sicuramente promossa per il valore aggiunto che ha portato nel campionato italiano e per quella illusoria trasparenza portata, almeno, negli episodi minori.

I bocciati sono coloro che la applicano.

La troppa discrezionalità di cui ancora godono determina l’elemento umano come un fattore portante per la sua applicazione. Purtroppo, noi lo sappiamo, l’elemento umano è facilmente condizionabile.

A pensarci bene la VAR, così configurata, rende ancora più difficile l’individuazione delle responsabilità, avendo allargato le stesse anche agli arbitri in tribuna.

Un detto popolare recita:

“colpa di tutti, colpa di nessuno”.

La Var deve continuare ad esistere, ma deve avere applicazione  più stringenti e specifiche.

Deve essere in grado di prescindere dal’elemento umano ed applicare elementi oggettivi, indiscutibili.

I puristi storceranno il naso, ma qui, consentitemi, non  sono in gioco le pendici olfattive di certi grandi professori.

Dobbiamo chiederci se vogliamo un campionato di Serie A più giusto, più equo e quindi avvincente o continuare ad assistere a corse in solitaria dal finale scontato.

Ci sono in gioco molte cose.

Non solo l’equilibrio di un campionato, ma anche la spartizione della ricchezza che l’industria calcio produce.

L’affare è troppo grande e importante per essere condizionato da una classe arbitrale da sempre in discussione, non finanziariamente autonoma, e particolarmente sensibile, o insensibile, alle pressioni dei gruppi di potere.

Il nostro auspicio è che la direzione del VAR rimanga sul percorso tracciato, operando, tuttavia, quei sostanziali miglioramenti in termini di efficacia, efficienza e trasparenza, al fine di garantire all’utente-calcio ciò che si merita.

Una storia che non sia un film già visto.

 

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Paolo Paolucci

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