Il figlio di Paulo Roberto Falcao: “Non ci sono tamponi per medici e infermieri, ma 3000 per giocatori e staff tecnico sì? Io sono contrario alla ripresa della Serie A”

Giuseppe Falcao
Giuseppe Falcao, figlio di Paulo Roberto, ha rilasciato un’intervista esclusiva ai microfoni di Roma Talk Radio (Foto: Facebook)

Nel giorno dell’anniversario del secondo scudetto giallorosso, Giuseppe Falcao, figlio dell’ex campione d’Italia con la Roma, Paulo Roberto, ha rilasciato un’intervista esclusiva ai microfoni di Roma Talk Radio. Queste le sue parole:

Benvenuto Giuseppe…
Ciao Ragazzi, buongiorno a tutti.

Quali sono i pro e i contro di portare il tuo cognome in una città come Roma?
E’ una domanda che faccio anche io. Collaboro con Leggo e intervisto figli di ex giocatori. Proprio pochi giorni fa ho fatto la domanda a un figlio di, di cui poi uscirà l’intervista. I pro non sono tantissimi, nel senso che nel mondo del calcio c’è sempre la sensazione che qualsiasi cosa devi fare, devi sempre dare per forza il 200 o il 300 percento. Quando porti questo cognome la gente si aspetta sempre da te qualcosa in più. Quando scrivi qualcosa o quando fai qualcosa…

Un po’ quello che dice Totti riguardo Cristian…
Ne ho parlato con Francesco ed è un aspetto delicato, perché soprattutto in una città come Roma, quando porti un cognome del genere…Io ho provato a giocare a calcio ed era difficile. Quando hai un paragone del genere fare meglio è impossibile e alla fine tendi a fare altre cose, perché il “peso” di portare un cognome del genere non ti aiuta. I pro ti posso dire sono l’affetto delle persone rapportato a quello che ha fatto a mio padre. La gente che ti scrive e che ti ferma quando fai una chiacchierata. Quello è meraviglioso, il che ti fa capire la gioia che ti hanno dato quelle persone in un’epoca in cui a Roma si è vinto sempre molto poco. Quindi, in una città come Roma lui ha lasciato il segno e lo vedo ancora oggi quando parlo con le persone. Questo è il pro. Quando prendo un caffé al bar qualcuno mi chiede di parlare e vedo negli occhi la gioia di tornare a parlare di un’epoca che ancora oggi sembra attuale. Se pensiamo che sono passati quasi quarant’anni e stiamo ancora qui a parlarne e questo fa capire cosa hanno fatto mio padre e tutta quella squadra. Era un calcio diverso, romantico e passionale. Si parla degli anni ’80 come si parla dello scudetto del 2001. Ma con tutto il rispetto, quello dell 1983 ha un sapore diverso. Vedi quanto ne parliamo ancora. Del 2001 ne parliamo ma velocemente. Invece per quello dell’83 c’è una storia da raccontare, che non riguarda solo la Roma. Quando ho fatto l’intervista al figlio di Maestrelli, ti dico che la stessa sensazione l’ho avuta anche dall’altra parte. Era un calcio diverso, dove la gente si riconosceva nei calciatori, li incontrava al bar e si raccontano storie incredibili. Il calcio era molto più umano e vicino alla gente.

Quello che succedeva dentro lo stadio diventava quasi una leggenda senza televisioni…
Anche negli spogliatoi succedevano cose che non si possono dire. Ma ci sono dei racconti…Questo ti fa capire come fosse una dimensione più umana. Addirittura c’era gente che andava a casa dei calciatori per giocare a carte. Il calciatore era ricco come un lavoratore normale.

Una delle fotografie storiche di quel periodo, tralasciando la Roma, è il ritorno in aereo dopo la coppa del mondo, con Zoff, Pertini e Gentile che giocavano a carte…
Oggi li vedi e stanno tutti con l’IPhone, con le cuffie e vivono il calcio in modo diverso. Lo ha detto anche Francesco Totti. Il calcio penso che sia finito con Daniele De Rossi. Quel tipo di calcio intendo. Anche se quello di Totti e Daniele è diverso. Ma quel calcio finisce con De Rossi, Buffon, Chiellini, a calciatori che hanno affrontato un’epoca in cui il social era meno importante, dove l’apparire era meno importante e contava di più il campo e dimostrare in campo, a fare dichiarazioni importanti, di livello e di spessore. Oggi non è così e lo stiamo vedendo anche in questi giorni, dove stendiamo un velo pietoso. E’ un calcio dove il tifoso è parte secondaria.

Il tifoso è un cliente ormai…
Giocare a porte chiuse o aperte per loro non fa differenza e ti fa capire come ormai tutto è rapportato al business e all’aspetto economico. Bisognerebbe ricordare sempre che i soldi li portano i tifosi in questo calcio. Se il tifoso non compra e non partecipa, poi tutto va a finire perché senza tifosi il calcio non esiste.

Portando questo cognome, quanto pensi siano importanti i valori della famiglia? Una volta era un calcio famigliare, oggi è business. I figli, specie quelli che portano certi cognomi, che differenze potranno provare?
All’epoca, senza sociale e con meno informazione, il figlio di calciatore era una persona fondamentalmente normale, che lavora e fa la vita come tutti. Oggi il figlio del calciatore, con il social o con il genitore, ha modo di rapportarsi in modo diverso all’informazione ed è leggermente avvantaggiato. Ma c’è anche il contro. C’è tanta visibilità, cosa che noi all’epoca non avevamo, ma non ti aiuta molto. Tutti sanno che Cristian è figlio di Francesco Totti. All’epoca su 10 persone, 5 sole sapevano che io fossi figlio di Paulo Roberto. Oggi su 10 lo sanno in 10. C’è il pro e il contro come in tutte le cose. Sono più i contro che i pro. Questo sempre, perché la gente si aspetta sempre qualcosina di più. Pensa sempre che se fai qualcosa è perché sei “raccomandato”, aiutato, perché porti quel cognome, quando invece ci sono dinamiche diverse. Per noi è difficile e per chi è figlio di un cantante o un attore. Magari all’inizio hai il pass per entrare più facilmente, perché il cognome all’inizio aiuta, ma poi rimanere o fare qualcosa è molto più complesso e difficile, con tante bastonate prese e persone che tendono a sottrarsi. Devi essere bravo a capire chi ti vuole aiutare e chi no. La cosa che fa ridere è che tutti partono con “Io non ti voglio sfruttare” e poi, appena esce una cosa che riguarda mio padre, allora “Eh Giuseppe ma questa cosa dovevi dirmela tu”. C’è questo grosso problema che c’è poco da fare, alla fine anche loro ragionano sul vendere nella comunicazione. C’è anche la cosa inversa, è difficile anche per noi perché spesso le persone pensano “Non lo prendiamo perché chissà quanto costa”. Pensano “Chissà quanto mi chiedono perché è il figlio di…”. Non siamo extraterrestri, ma persone normalissime.

Qual è il ricordo che più viene rievocato dai tifosi della Roma e di altre squadre su tuo papà, a parte lo scudetto?
Concludo un attimo sul peso. E’ un peso relativo perché a me non frega molto fondamentalmente. Se piaccio bene altrimenti non mi cambia la vita. Sull’aspetto dei tifosi ti racconto un aneddoto di 15 anni fa. Mi ferma un ragazzo e ci mettiamo a parlare. Mi dice: “La cosa più bella che mi ricordo di tuo padre è quando andavo in trasferta a Milanoe vedevo negli occhi dei tifosi avversari la paura”. Questo è l’aspetto che è alla base di tutto. Parliamoci chiaro. Franco Tancredi mi ha detto qualche giorno fa: “La cosa che ci ha detto tuo padre appena arrivato è stata che avremmo vinto lo scudetto. Noi lo abbiamo guardato e gli abbiamo detto che era matto, fino a due anni prima rischiavamo la Serie B, con Pruzzo che segna con l’Atalanta all’ultimo”. Questo per farti capire un pochino quello che la gente racconta e che raccontano i suoi compagni. Lui è arrivato qui e ha detto: “Siamo una squadra forte e abbiamo le potenzialità per fare bene e vincere lo scudetto”. Se non ci fosse stato il gol di Turone, al primo anno avrebbe vinto lo scudetto qui. Questo è l’aspetto dell’essere orgogliosi di una squadra che va a Milano o a Torino e vede nell’altra squadra e nei suoi tifosi la paura di affrontare una squadra forte. Mio padre aveva anche la postura e l’atteggiamento di un calciatore forte. La testa alta, la Roma giocava la palla e non aveva paura di nessuno. Era una squadra moderna dal punto di vista tattico che ha portato novità. Spesso diciamo che se non giochi all’itailana non vinci, ma è una bugia perché Liedholm fu il primo a portare qualcosa di nuovo in Italia, senza dover giocare a tre e coprirci con calcioni lunghi. Si deve giocare a calcio per raggiungere risultati in un certo modo. La Roma giocava un calcio moderno contro un calcio antico come quello di Trapattoni alla Juventus. Liedholm inventò Di Bartolomei centrocampista libero. I tifosi quindi mi parlano dell’orgoglio di andare a Milano e a Torino, quando arrivava la Roma di Falcao, Pruzzo e Conti, non la Rometta. Poi l’episodio del gol al Colonia. Quella è la consacrazione da piccolo club a grande club a livello internazionale.

Se dovessi paragonare Falcao a un giocatore dell’era moderna per caratteristiche, chi ti viene in mente?
Nessuno (ride, ndr). Non sono paragonabili i calciatori dell’epoca con quelli attuali. Ti posso dire che probabilmente, un calciatore di oggi negli anni ’80 non giocherebbe. Era un calcio molto tecnico e oggi di tecnica ne vedo molto poca in giro. Sono tutti calciatori muscolari e fisici. Nello stesso tempo, però, ti posso dire che Falcao e Bruno Conti nel calcio di oggi potrebbero starci, perché mio padre era già all’epoca un calciatore moderno, che faceva 4 o 5 ruoli nella stessa partita. Per esempio il gol con la Fiorentina, dove fa il colpo di tacco finale, con l’azione partita dal basso. Riesce a fare il regista, l’incursore. Forse statisticamente, con i dovuti paragoni perché si parla di calciatori completamente diversi, e anche per l’evoluzione tattica, un pochino ricorda Radja Nainggolan. All’inizio faceva il centrocampista centrale basso, poi è diventato incursore. Un pochino me lo ricorda. Dal punto di vista tattico, invece, Pogba potrebbe essere un calciatore del genere, perché è un calciatore di fisico, tecnico, che ha un gran tiro, come mio padre che sapeva fare un po’ tutto. Mi ricordo che tanti calciatori sono stati paragonati a lui, alcuni come una bestemmia tipo Andrade…Paragonarlo è quasi impossibile.

Come intelligenza tattica, con le pinze, mi ricorda Iniesta…
Fisicamente un po’ più a Kaka, ma forse più in Brasile trovo qualcuno. Al di là che fosse molto europeo, comunque papà aveva le caratteristiche del giocatore brasiliano, che tecnicamente faceva delle cose con facilità estrema. Però è difficile trovarne di simili, anche di Bruno Conti e Pruzzo è difficile trovane.

Ti lascio carta bianca su un ultimo pensiero felice…
Un pensiero felice…Spero che questa situazione passi velocemente e che si possa tornare presto alle cose che facevamo prima, in sicurezza e stando attenti. Mi auguro che venga presa una decisione drastica sul calcio.

Ricominceresti la Serie A?
Faccio una considerazione facile. Ci sono squadre che si stano giocando la salvezza. La Sampdoria è una di queste. D’altra parte ci sono squadre del sud dove il virus non ha avuto una grande diffusione e si stanno giocando anche loro la salvezza come il Lecce. Parlare di contagiati, positivi come fossero infortunati la trovo una cosa sbagliata. Troverei corretto, e qui si fermerà il calcio per me, che una squadra come la Sampdoria abbia quattro giocatori che non potranno praticamente partecipare perché non sappiamo quanto dura il virus. Magari questi stanno 30 giorni positivi, non si potranno allenare e se si torna a giocare a giugno saranno fuori, quindi la Samp avrebbe 4 giocatori in meno per motivi indipendenti dalla loro volontà, questo perché il virus ha avuto al nord una forza maggiore. Questo rischia di creare una disparità. Già di per sé è sfalsato il campionato. Poi, se una squadra che deve salvarsi ha 4 positivi che magari sono titolari, secondo me diventa allucinante e scorretto. Aspettiamo altri dati poi. Non credo che Brescia, Milan, Inter siano immuni. La questione contagiati è solo all’inizio. 

Poi con le notizie dei party americani per infettarsi appositamente…
Più che altro la notizia che non ci sono tamponi per i medici e gli infermieri, però ne troviamo 3000 per calciatori e staff tecnico. Mi sembra assurdo. Vedendo come sta lavorando il Governo, con la prudenza per ogni cosa, la vedo difficile che il campionato possa riprendere. Un po’ perché moralmente le persone non sono felici se riprende. Moralmente il governo valuta queste cose. Vive di sondaggi e di cosa ne pensa il popolo. Il pensiero comune della gente, anche sui social, viene valutato dall’esecutivo. In questo momento la vedo complessa. Così come a giugno. Se non ci sarà un brusco calo dei contagi al momento opto più per il no. Entro il 2 agosto va dato lo stop al campionato. Io non sono d’accordo con la ripresa.

In un’ipotetica Atalanta-Brescia come si potrà esultare dopo tutto ciò che hanno passato?
Neanche i calciatori potranno esultare. C’è una soluzione semplice secondo me. Devi fare 120 partite più 4 recuperi. Non sono poche, specie perché in certe zone d’Italia non si potrà giocare. Bisognava fare un ritiro, portare tutte le squadre al centro-sud e giocavi le partite in una regione. Facevi i playoff a 4 squadre e facevi 4 o 5 partite per finire il campionato e fare tutti contenti. In questo momento finire la regolare stagione è impossibile, specie quando al centro-sud faranno 40 gradi. Sappiamo bene quando fa caldo in Italia e a Roma, non fanno 25 ma 35 gradi anche di sera. Anche quello è un aspetto da valutare e poi si pensa che noi romanisti la vediamo così solo perché la Lazio non debba vincere lo scudetto. La Lazio non ne esce avvantaggiata se si gioca ogni tre giorni. 

Allora che dovrebbe dire la Roma, che aveva una trattativa in ballo…
La mia sensazione è che si fosse arenata già prima del Coronavirus. Se andiamo a vedere le date, si parlava di firme già fatte…Ma qualche piccolo problema c’era qualche tempo prima. Con il Coronavirus, poi, se c’era qualche dubbio…Non è detto che non si possa riprendere la trattativa o che esca qualche altro investitore. Pallotta vuole vendere e l’intenzione è chiara. Sul calcio, invece, è difficile, non ho neanche voglia. Sento parlare di calciomercato, ma di che vogliamo parlare se neanche sappiamo se si riprende a giocare. Parlarne è folle. Capisco che devono vendere i giornali, ma non è fattibile.

Prima parlavi di aver calcato i campi di calcio, ma con quale squadra?
No, ho giocato da bambino. Poi ho giocato a tennis e fatto altro. Da bambino alla Vis Trastevere, ma ero pigro. Molti pensano che giocare a calcio sia semplice, facile ma sono tanti i sacrifici che devi fare. Se e quando arrivi al top è perché hai fatto sacrifici enormi.

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