Nella trasmissione Roma Talk Radio (in onda tutti i giorni dalle 10 alle 12 sulle frequenze digitali di Roma Talk Radio) condotta da Andrea Materia, Fulvio Micozzi, Matteo Vitale e Simone Vitale è intervenuto Sebino Nela, grande protagonista della Roma anni ’80, in riassunto le sue parole.
Se la Roma la chiamasse e le proponesse un posto in dirigenza, lei accetterebbe o declinerebbe?
Entrerei, sono legato alla Roma e mi farebbe piacere lavorare per la Roma, sarei prontissimo. Tutto questo, ovviamente, SE quella chiamata arrivasse. Devo dire che ho un buon rapporto con la dirigenza, abbiamo chiacchierato tanto e diverse volte, ci siamo visti: non si entra nella Roma in due minuti, a volte ci vuole molto tempo.
Il pubblico della Roma è molto arrabbiato e lo capisco, si pensava che si sarebbe vinto lo Scudetto, ma non è andata così e arrivare in Champions sarebbe il minimo, francamente. Nel calcio quando le cose non vanno si cerca sempre il colpevole, che sia uno e da mandare via. Riguardo l’opportunità di assumere un dirigente a fare fare da collante, se ne parla molto a Roma ma non sempre coincidono i pensieri dei tifosi e quella della società, che potrebbe anche pensare che una figura del genere sarebbe superflua. Non è matematico che con questa figura poi si vinca. Siamo qua, vediamo cosa succederà.
Quindi si potrebbe fare? Servirebbe, forse, soprattutto in virtù del tanto chiacchierato ambiente romano…
Si può fare, ma perché qualcuno diventi un dirigente c’è bisogno che questo qualcuno abbia delle qualità, delle competenze utili alla società. Giustamente, e sottolineo giustamente, le società stanno molto attente a queste cose: sono necessarie queste competenze, non basta essere un ex tifoso. Sì, si parla molto di ambiente difficile: ne so qualcosa, ho giocato tanto a Roma, ho vinto qualcosa ma potevamo fare di più, soprattutto in relazione al valore assoluto di quella squadra: avevamo tantissimo talento, tantissimi giocatori forti e di livello assoluto. Potevamo vincere qualcosa di più. Per vincere a Roma serve una grande squadra e un allenatore bravo. Sento mille sciocchezze su Roma: sì, forse troppi locali, ma come la bella vita si può fare a Roma, la si può fare pure a Torino, per dire una città. La differenza vera la fa la squadra.
Sono convinto che a questa squadra non serva molto: i Giallorossi sono stati molto sfortunati, tanti infortuni determinanti. Certo, la squadra è da migliorare, ma si parte da un ottimo livello medio. Vanno considerate anche le capacità economiche in fase di costruzione di una squadra. Riguardo Garcia, sono in attesa di farci una chiacchierata, per conoscerlo meglio, per comprendere il suo modo di vedere il calcio. Io sono contrario a quell’abitudine diffusa di esaltare qualcuno se le cose vanno bene e affossarlo quando le cose vanno male. L’anno scorso ero un fenomeno ed ora sono un cretino? E no, non è così e non può essere così. Da calciatore posso dire che quando le cose non vanno o non vanno bene, è sempre colpa dei calciatori. Molti hanno deluso, soprattutto alcuni che sono stati pagati molto e dai quali ci si aspettava tanto. Nonostante tutto questo, però, lo sport nazionale è prendersela con l’allenatore. Io non partecipo e, anzi, credo nelle capacità di Rudi Garcia. Per me è un buonissimo allenatore.
Però la Roma è peggiorata molto dallo scorso anno, si è involuta dal punto di vista tattico e tecnico. La Roma giocava meglio: forse si è rotto qualcosa?
Questo nessuno può saperlo, bisognerebbe vivere lo spogliatoio e nessuno può farlo se non calciatori e allenatori. Dalle notizie che ho io, al contrario, vanno tutti d’accordo, dirigenza con allenatore e allenatore con la squadra.
E’ tecnicamente impossibile che qualcuno in un anno disimpari alcuni movimenti e diventi meno forte?
Non è questione di movimenti, è questione che le cose proprio non ti riescono. Sono cambiate molte cose dallo scorso anno: c’era Benatia che impostava già dalla difesa, quest’anno non c’è. C’era Strootman, che andava sempre in verticale, verticalizzava tutto e quest’anno non c’è. Assenze che contano e pesano. Oltretutto, manca il dato dei gol. A questo, bisogna aggiungere che i nuovi hanno deluso. Nonostante tutto questo, però, che non è poco, ancora sei lì e combatti. Sono tre cose, quelle elencate sopra, da analizzare e migliorare.
Ci si aspettava molto da lui, è giovane ed è stato pagato tanto: doveva “spaccare”, come si dice, ma così non è stato. E’ fra i più criticati anche per questo. Probabilmente io lo aspetterei, sperando che sbocci e che possa dare tanto alla Roma.
Lei ha vinto insieme ad Agostino Di Bartolomei, campione indimenticato, capitano indimenticato. A Roma ora ci sono Totti e De Rossi, spesso capri espiatori nei momenti difficili. Cos’è cambiato?
Di Bartolomei è il mio Capitano, molto considerato nello spogliatoio, vero Capitano, di grandissima cultura ed esperienza. Si prendeva la briga di andare a parlare con il Presidente per far valere le nostre idee. Un grande personaggio. Viola e Di Bartolomei erano due persone di grande intelligenza, tra loro non ci sono mai stati problemi. Sui Romani…eh (ride, nda). Una volta tocca a Totti, una volta a De Rossi, prendersi le colpe dei momenti negativi.
Cosa deve avere un vero Capitano? Totti è il più grande fenomeno della storia della Roma, ma è tutto tranne che un Capitano, forse troppo buono.
Il calcio è cambiato molto. Sono cresciuto con capitani come Mazzola e Rivera, erano di un’altra pasta, leader. Ora con l’esplosione dei giovani, diventa anche una mossa politica da parte delle società, che per non far partire un giovane di talento gli danno la fascia da capitano, per farlo affezionare, per far affezionare la sua famiglia, per blindarlo. Lo fanno molte società. E’ comunque una questione di personalità, si è capitani come si è uomini. Totti è comunque una figura importante, un capitano rispettato sempre ed ovunque.
Probabilmente per il fisico, sicuramente non per il carattere: non mi sono mai arrabbiato con i miei compagni. Al massimo nei tunnel, ma mai con i miei compagni. Anzi, mi sono arrabbiato per loro. Ho sempre avuto un grande senso di appartenenza per i miei compagni. Pensate che con molti di loro non avevo alcun tipo di rapporto, ma se qualcuno in campo faceva loro un torto, io ero lì pronto a difenderli. A fine partita, poi tutto tornava alla normalità. Questo per dire che i piedi nel calcio sono importanti, ma conta molto anche altro: la testa, il carattere, la personalità.
Ci sono voluti gli americani per riportare a Roma un po’ di Romanità, per riportare Ago a casa, a Trigoria…
Non mi esprimo su famiglie e gruppi, sono opinioni mie e rimarranno tali, ma Pallotta e gli americani, oltre che ad essere grandi imprenditori e businessmen, hanno capito che serviva portare anche altro a Roma, che serviva dell’altro e c’era bisogno di qualcos’altro. Mi ha fatto grandissimo piacere l’Hall of Fame. Sono stati ricordati gli ex giocatori, tutti importanti, gli è stata ridata visibilità e, chi sa, magari un posto in dirigenza, in futuro. Ogni lunedì sera i miei ex compagni ed io, da qualche tempo, andiamo a cenare tutti insieme. C’è un grande senso di appartenenza. Capisco che molti tifosi possano essere arrabbiati con Pallotta per quella frase sugli “idiots”, lì c’è libera interpretazione, ma ha riportato molto cuore. A me e i miei ex compagni ha fatto grande piacere, alle nostre famiglie, essere richiamati, sentirci coccolati, per così dire. Sentiamo di poterci rendere ancora utili in futuro, veniamo invitati a manifestazioni ufficiali. Penso che noi siamo un patrimonio per la Roma, abbiamo esperienza e possiamo dare tanto alla squadra, al club, ma servono anche conoscenze. Personalmente ho deciso cosa fare della mia vita, altri ancora ci pensano: bisogna studiare tanto, aggiornarsi, lavorare e farsi trovare pronti. E’ bellissimo questo senso di appartenenza che ha riportato Pallotta.
(Esclusiva e articolo realizzati da Matteo Vitale)