Nella giornata di venerdì 6 novembre 2015 è intervenuto, in esclusiva a “Roma Talk Radio”, Giancarlo De Sisti. Di seguito le dichiarazioni rilasciate dall’ex giocatore della Roma, che ha spaziato tra passato e presente:
Come si gioca e come si vince un derby?
«Non so se ci sia una regola scritta, i derby sono sempre all’insegna della massima incertezza e i valori espressi dai giocatori a volte non corrispondono a quelli reali. È una partita in cui può succedere tutto, dove un giocatore può avere un’impennata che decide la partita. Non penso ci sia una regola, nemmeno Zeman ne ha mai trovata una. Quando nel ’74 sono tornato alla Roma ho avuto un battesimo con la soddisfazione, da romano del Quadraro quale sono, di segnare il gol decisivo al derby, una cosa bellissima».
Mister, il calcio è cambiato tantissimo, ma nella Roma attuale saprebbe individuare un giocatore che la ricorda per le caratteristiche che Lei aveva in campo?
«Ero un giocatore tutto fosforo, avevo un buon rapporto col pallone, gli davo del tu. Mi sono sempre vantato di avere una grandissima intelligenza tattica grazie alla quale prevedevo spesso quello che sarebbe accaduto nel corso della partita, specialmente nella zona del centrocampo. A forza di ripetere le lezioni che avevo avuto dal grande Schiaffino ad avvio di carriera, mi sono specializzato e sono diventato un bravo calciatore. Come diceva Lei, il calcio è cambiato, è difficile per me dire se ci sia qualcuno in cui mi rivedo. Devo dire che David Pizarro mi piaceva, però non mi ci rivedevo completamente perché, al contrario mio, faceva delle giocate che tirava fuori dal celindro, però tratteneva troppo il pallone rispetto a come io concepivo il ruolo del playmaker. Per questo motivo non mi rivedo in maniera completa in nessun giocatore, il calcio è cambiato non solo in campo ma anche fuori. Una volta se avevi un tatuaggio ti mandavano al monte, se avevi i capelli lunghi eri considerato un ribelle. Oggi è tutto cambiato, non solo il ritmo delle partite ma anche la qualità, che si è abbassata; oramai spesso si va troppo veloce anche a scapito della tecnica».
Lei è ambasciatore del settore scolastico della Figc, in questo senso pensa che il calcio sia purtroppo diventato uno sport in cui, anche a livello giovanile, l’importante sia solo vincere anziché divertirsi? E se si, in che modo andrebbe combattuta questa mentalità?

«Lo sport deve necessariamente trasmettere dei valori che siano fondamentali per la crescita sana dei bambini, alcuni genitori vengono spesso concepiti come degli orchi cattivi. Non faccio battaglie, anni fa però, in relazione al ruolo che occupo in Federazione, ho avuto modo di collaborare con un grande dirigente inglese che ci ha dato degli spunti importanti in una riunione che abbiamo fatto a Coverciano. Ci ha parlato della riqualificazione della figura del genitore, che gli stessi inglesi avevano fatto in periodi anche passati. Loro avevano qualche problema, non così forte come da noi, con i genitori che influenzavano negativamente i figli. Il bambino di per se è innocente, viene su con l’educazione che gli viene data. Se un genitore rifiuta i valori sportivi anche il figlio crescerà come un prepotente, sia nello sport che nella vita. Nessuno deve esser messo nelle condizioni di essere battuto senza lottare, assolutamente no, però si deve competere con la lealtà tipica dello sportivo vero e accettare serenamente la vittoria ma anche la sconfitta. I bambini ripetono le azioni dei grandi, noi come Federazione dobbiamo riqualificare la figura del genitore. Nonostante la scuola e lo sport, i bambini trascorrono tanto tempo anche con la famiglia, e se non sono per primi i genitori a educarli, chi altro dovrebbe farlo? Molte scuole calcio sono diventate prettamente un’attività di business, la scuola non può correggere un individuo se non vi è il genitore a dare l’impronta principale all’educazione del figlio. Io vado a parlare con i bambini, anche se dico cose positive, se poi non vi è qualcuno a dare un seguito a quelle parole, dopo cinque minuti già il bambino se le sarà scordate. È un problema serio, non ci siamo fatti mancare niente tra doping e calcioscommesse, però nonostante ciò avremmo tante di quelle risorse per poter fare bene. Siamo stati pur sempre quattro volte campioni del mondo, calcisticamente parlando non siamo gli ultimi arrivati, solo che sotto l’aspetto etico e morale sarebbe auspicabile un ritorno al passato. Avrei un aneddoto da raccontarvi: l’anno scorso circa sono andato insieme a
Gianni Rivera e ad altri dirigenti in un campo di periferia, nella cui tribunetta c’era un gruppo di mamme e papà particolarmente focoso. Abbiamo chiamato uno di loro, al quale abbiamo chiesto di vedere il secondo tempo insieme a noi, e gli abbiamo fatto notare che quel gruppo superava di parecchio l’asticella delle buone maniere. Il signore, osservando dall’esterno quella tribunetta, quasi si meravigliò della quantità di parolacce che sentiva pronunciare dal suo gruppo e non si capacitava del fatto che quelle cose fino a poco fa le stesse dicendo anche lui. Capite, si entra quasi in ipnosi, in uno stato di esaltazione collettiva dove si vuole solo che il proprio figlio vinca. Non è una cosa positiva che la domenica, durante le partite fra settori giovanili, si abbia paura che ci possano essere risse tra i parenti dei vari ragazzi che stanno giocando. Così il calcio muore».
Tornando all’attualità, domenica ci sarà un derby senza curve. Che ambiente si aspetta?
«Non per dire che gli altri settori non contino, però il cuore pulsante delle squadre sono le curve, sono loro che trascinano tutto lo stadio e lo spronano a tifare. Il tifo e lo sfottò sono il sale del derby, ci sono certe battute che sono spettacolari e che hanno un fondamento di sana ironia. Credo che sarà quasi uguale a uno stadio vuoto, e questo è un peccato. Di solito i derby non sono belli perché spesso si fanno troppi calcoli, c’è troppa tensione, troppo amore e troppa voglia di vincere, però se si mantiene la calma, se la Roma giocherà al massimo e la Lazio giocherà al massimo, che ve lo devo pure dire chi vince? (risata) Va detto però che nel calcio regna anche l’incertezza, quindi tutto puo’ accadere. Tra le due la Roma la vedo più preparata, però senza i tifosi a sostenerla sarà dura, loro sono importanti. Parlando di derby, quando ho segnato e deciso il derby del ’74, i tifosi della Curva Sud mi hanno regalato l’elmo da antico romano e mi hanno detto “da oggi sei uno di noi”. Queste sono cose che non hanno eguali in altre piazze, è stato il derby in cui ho ottenuto la consacrazione definitiva della mia carriera».
Un’ultima domanda: chi pensa possa essere l’uomo derby?
«Sarebbe facile dire che Dzeko, per il suo fisico imponente qualora venisse servito dai compagni, potrebbe essere un buon candidato a uomo partita. Ci sono anche Gervinho e Salah ai quali se lasci anche solo un po’ di spazio possono far male, per fortuna cercare di limitarli non sarà un problema mio ma della Lazio (risata). Lo stesso Nainggolan potrebbe risolverla con una legnata da lontano e poi c’è Florenzi, sarebbe bello che sia lui a decidere il derby, purtroppo però non è certo che giochi. Ci sono troppe incertezze per dirvi un nome preciso, sceglietene uno voi, basta che sia della Roma (risata)».
E con queste parole chiudiamo e ringraziamo mister De Sisti per il suo intervento, un abbraccio e Forza Roma!
«Grazie a voi, arrivederci!»
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