L’ex romanista: “Il calcio di oggi è fissato sulla tattica quasi in maniera maniacale. Noi giocavamo più liberi dal punto di vista tattico. Anche l’abbigliamento e i palloni influiscono

Ciccio Graziani
Ciccio Graziani, ex giocatore della Roma, ha parlato ai microfoni di Roma Talk Radio (Foto: YouTube)

Francesco Graziani, ex giocatore della Roma e campione del mondo con la Nazionale nel 1982, ha parlato in esclusiva ai microfoni di Roma Talk Radio. Tra gli argomenti trattati. Queste le sue parole:

Buongiorno Francesco e benvenuto…
Buongiorno a tutti.

E’ un onore per noi parlare con un campione del mondo e con chi con la Roma ha vinto, due coppe Italia non sono poche. Qual è secondo lei la differenza tra il suo calcio e quello di oggi?
Forse quello di oggi è un pochino più velocizzato. C’è un po’ più di velocità, di rapidità. c’è un’attenzione più maniacale dal punto di vista tattico. Noi giocavamo molto più liberi dal punto di vista tattico. Però, c’è anche l’abbigliamento sportivo, che è completamente cambiato.

Abbigliamento e pallone possono influire sul cambiamento del calcio?
Assolutamente sì, soprattutto d’inverno, quando poi i palloni si pagliavano e diventavano pesanti il doppio. Poi piano piano si è evoluto anche lì, siamo migliorati, ma all’inizio francamente era difficile. Mi ricordo quando d’inverno rinviava Castellini, se la palla andava a destra io andavo a sinistra perché se colpivi di testa quando rinviava il portiere era un dramma.

Lei tra l’altro era tra i maggiori interpreti come colpitori di testa…
Sì, è vero. Quando andavo a toccare la palla la andavo a spizzare più che altro. Non andavo a picchiarla forte.

Tra lei e Pruzzo in quella Roma c’era solo l’imbarazzo della scelta su chi colpiva meglio di testa…Sei stato anche capocannoniere con 21 gol…
Pruzzo da fermo era straordinario. Io ero bravo quando riuscivo a prendere quei due metri di partenza per scattare in alto. Roberto, invece, aveva un’elasticità muscolare strepitosa.

Se voi due giocaste oggi in campionato insieme fareste almeno 50 gol…
Anche perché non sanno marcare. Oggi i difensori sono più bravi a impostare e sono più bellini da vedere, ma francamente nella marcatura sono meno bravi. Alcune settimane fa ho visto un’intervista di Pietro Vierchowod che si lamentava di questo, degli errori di concetto da parte dei difensori incredibili. Poi giocando in linea, basta mettersi tra le linee, basta che filtra e va in porta. Prima avevi il tuo marcatore, poi avevi il libero ed era molto più difficile fare gol.

Era un periodo dove c’erano dei fabbri più che dei difensori…
Sì esatto. Un altro vantaggio che hanno oggi è che alla seconda ammonizione ti buttano fuori. Nel nostro periodo ammonivano poco, poi era più difficile giocare contro certi difensori perché loro giocavano solo per non far giocare te o non farti fare gol. Quindi ti seguivano in tutte le zone del campo e non era facile come oggi.

Lei è l’emblema di chi si affaccia al grande calcio attraverso il sacrificio. Qual è il suo segreto e cosa si sente di consigliare ai giovani calciatori di oggi?
Ai giovani calciatori gli consiglio di approcciarsi allo sport con il sorriso e la voglia di divertirsi. Poi con la speranza che questo divertimento di oggi, possa diventare una professione domani, perché non è facile arrivare a certi livelli. Per quanto sia il numero dei ragazzi che si approccia a questo meraviglioso sport. Poi è normale che nessuno ti regala nulla e che i sacrifici vanno fatti. Io mi ricordo da ragazzo, quando i miei coetanei andavano a fare le festicciole il sabato sera e le cose che non potevo fare perché la mattina mi dovevo alzare alle 7 e andare a giocare, mi sono privato di tante cose. Ma grazie a Dio ho raccolto i frutti di quelle privazioni e sono contento così. Per me il calcio era la cosa più bella cui potessi approcciarmi. Tutto il resto mi interessava poco.

Ora ti riempiono di soldi a 16 anni…
Sì, ma non è colpa loro. E’ un vantaggio per loro avere da subito la possibilità di guadagnare cifre incredibili per l’età e per la poca presenza nel firmamento del calcio italiano. Noi vediamo ragazzi che fanno 7, 8, 10 partite e vanno subito a rinnovare dei contratti che diventano milionari. Quindi buon per loro. Ma a volte questo toglie la voglia di crescere a questi ragazzi, perché si sentono appagati da subito. Hanno tutto e subito e quando hanno tutto e subito poi prendi vizi. Quando ero alla Roma, l’avevamo fatto precedentemente noi, ma i Giannini, gli Impallomeni…Quando andavamo in trasferta ci portavamo tutti le nostre borse, ma i ragazzi erano i più sacrificati perché dovevano prendere almeno due o tre borse per aiutare i magazzinieri, i massaggiatori…Oggi guardate che lavoro che c’è…E’ impensabile. Se a un ragazzo giovane gli dici qualcosa, il giorno dopo arriva il procuratore a parlare subito con la società. Sono coccolati, viziati. Se generalizziamo possiamo tranquillamente dire che sono viziati, hanno tutto e subito e si sentono appagati, crescendo meno di quanto dovrebbero.

Una volta il contratto della vita si otteneva verso fine carriera…
In quegli anni, ogni anno dovevi andare a rinnovare e se avevi fatto bene ti davano di più, altrimenti ti levavano. Una volta andai a Torino, avevo fatto 15 gol e mi dissero: “Però siamo arrivati quarti”. Io dissi: “Ma scusate io i miei gol li ho fatti, che devo fare?”. Mi volevano dare meno di quello che volevano darmi prima e sono riuscito riuscito a prendere quello che prendevo l’anno prima, me lo hanno confermato. Ecco come erano le cose prima.

Tutto ciò ha portato alla perdita di alcuni valori…
Il calcio è cambiato, come è cambiata la vita o il mondo con internet o i social. Oggi un ragazzo che non è capace di fare un passaggio di sinistro guadagna 90 o 100 mila euro al mese netti. Il mondo si è evoluto e hanno avuto grossi vantaggi. Lo stipendio era tutto al contrario una volta. Il mondo è improvvisamente cambiato in favore dei calciatori e hanno delle potenzialità enormi nei confronti delle società.

Lei ha avuto tanti grandi allenatori. Quali tra questi le hanno insegnato di più dal punto di vista tecnico-tattico e quali dal punto di vista umano?
Dal punto di vista umano credo che Gigi Radice sia quello che mi ha dato di più, sono stato sei anni con lui e abbiamo vinto uno scudetto insieme. Anche se qualche volta ci scappava qualche litigata, era nella norma discutere su alcune cose. Con gli altri ho sempre raccolto qualcosa, ho sempre cercato di prendere il meglio. Con Liedholm per esempio non c’era un grande rapporto comunicativo, perché parlava poco e dovevi capirlo attraverso certi suoi comportamenti. Era un tecnico silenzioso ma con lui ho imparato molto. Bearzot era un fratello maggiore prima che un tecnico, un papà. Potevi parlare di tante cose, anche di problemi finanziari. Era una persona che ti ascoltava anche per 3 ore di seguito senza mai annoiarsi. Io da tutti ho cercato di prendere qualcosa. Ricordo i sacrifici al Bettini Quadraro. C’erano delle volte che giocavi la mattina alle 11, altre volte alle 8 e mezza e quindi da Subiago mi alzavo alle 4. Alle 5 prendevo il pullman, arrivavo alle 6 e mezza a Roma. Poi, prendevo il trenino che faceva da Stazione Termini a Cinecittà, ci voleva una mezz’oretta. Arrivavo alle 7-7:15 e c’era una pizzeria che apriva. Facevo colazione con la pizza con le patate e andavo a giocare. Per dire com’era la situazione quando si giocava alle 8 e mezza della mattina. E c’era quella pizza con le patate fumanti che mi piaceva da morire, ma più di tanto non potevo mangiarne perché dopo un’ora e un quarto si giocava.

Lei non mi dà l’impressione di una persona che tendesse a ingrassare…
Quello no, anche perché da ragazzo mi facevano le radiografie con un cerino perché ero secco allampanato. Tra l’altro non ero uno di quelli che mangiava tanto, ma il giusto. All’epoca ogni settimana c’era il peso. C’era gente che diventava matta. Chi tendeva un po’ a ingrassare, i giorni precedenti al peso era un massacro.

C’era qualche suo compagno che se la passava brutta?
A Roma Nela. Nela era terrorizzato. Lui non mangiava molto, ma tendeva a ingrassare. Poi aveva questa massa muscolare clamorosa. Non a caso lo chiamavano Hulk i tifosi. Quando c’era il peso, si nascondeva e i giorni prima stava attento a tutto. Era un dramma se ti trovavano con un chilo o 500 grammi in più.

Cosa accadde nel girone di ritorno, con Roma-Milan e Agostino Di Bartolomei e Liedholm già rossoneri?
A fine partita nulla, ci siamo abbracciati. C’è stato un momento di tensione durante la partita, perché il Milan voleva fare risultato e noi anche. Tra l’altro venivamo da un buon periodo e volevamo andare in finale in quella manifestazione. Ci fu un paio di contatti in fase difensiva, con qualche screzio. Io ero nervoso, lui pure, nel contenderci la palla lui mi ha dato una spallata, io mi sono girato, l’ho preso un po’ per il collo e l’ho steso. Però sono quelle cose che succedono in campo perché siamo sanguigni, ma a fine partita con Agostino ci siamo abbracciati. Tra l’altro lui è uno di quelli che quando è stato a Roma sentivo più vicino. Lo chiamavamo il capitano silenzioso, era introverso e parlava poco. Scherzava anche poco e non sapevi come prenderlo a volte. Però per noi era un grande punto di riferimento, perché era sempre preciso negli orari, nel lavoro. Io ero tra quelli con cui lui rideva e scherzava di più, quello screzio ci fece male a tutti e due. Andai più io ad aggredire lui che lui a me, ma a fine partita ci siamo cercati e abbracciati. Tutto è finito lì.

I giornali romanzarono su quell’episodio…Addirittura qualcuno scrisse che lei diede un pugno ad Agostino…
No, assolutamente no. Era stato qualcosa in campo e ci siamo detti qualcosa verbalmente, qualche vaffa. Ma niente di serio, un po’ di nervosismo e di adrenalina. Come è normale che sia. Io a fine partita non l’ho abbracciato perché lui andò subito negli spogliatoi, ma dopo l’ho cercato e ci siamo abbracciati, facendoci una risata. Quando arrivai a Roma, nel ritiro di Brunico, ero in camera con Agostino.

Quando entrava in campo cosa significava per lei vedere la Curva Sud e l’Olimpico?
Uno spettacolo incredibile. Quando giocavamo nel Bettini Quadraro, la domenica ci davano i biglietti per vedere la Roma e lì ci mettevano in un angoletto della Curva Sud e lì mi godevo lo spettacolo della tifoseria e sognavo: “Che bello che sarebbe un giorno vedere dal campo questa parte di curva”. Quando ci sono arrivato per la prima volta all’Olimpico da calciatore non fu contro la Roma ma contro la Lazio. Quando sono sceso dal pullman ho fatto una corsa nel sottopassaggio, sono uscito dalla parte della Curva Sud e la prima cosa che ho guardato è quell’angoletto dove con gli amici del Bettini Quadraro andavo a vedere la partita. Quel sogno è diventato realtà e mi tremavano le gambe, ma giocavo contro la Lazio. Quando ci sono tornato contro la Roma è stata la stessa cosa. La curva era meravigliosa, piena di gente con grandi cori e ho rivissuto anche lì le stesse emozioni. E’ stato un impatto meraviglioso. Poi ho avuto la fortuna di arrivarci da calciatore della Roma con i tempi cambiati e la curva diventava sempre più bella e più piena, perché nel periodo in cui sono arrivato a Roma, la Roma era tra le più forti del campionato, cosa che non lo era prima. Lo spettacolo dell’Olimpico era una meraviglia. Mi ricordo contro la Juventus erano state fatte tutte le strisce giallorosse che coprivano lo stadio. Non vedevi uno spettatore e vedevi solo queste strisce giallorosse. C’erano 80 mila persone ma non se ne vedeva una. C’era Platini vicino a me e mi disse: “Ma cazzarola, io uno spettacolo così nella mia vita non l’ho mai visto”. Gli dissi: “Vedi Michele alla Juventus vincerai gli scudetti, ma se giocavi nella Roma ti avrebbero fatto papa, sai quanto ti avrebbero amato? Guarda che spettacolo”. Che fosse da brividi me lo disse Platini. Tra l’altro poi vincemmo 3-0 dandogli una bella lezione. Vincendo 3-0, gli ultimi dieci minuti lo stadio era talmente passionale ed entusiasta che non riuscivi neanche a parlare con un compagno, c’era un frastuono, dei momenti di grande passione e anche quello ti dava una carica meravigliosa. Vedere 80 mila persone che saltavano, ballavano è stata una delle esperienze più belle della mia carriera professionale. Poi all’epoca si giocava alle 2 e mezza e arrivavi al campo all’una. Non vi racconto cosa c’era dentro quel pullmino che ci portava da Trigoria allo stadio. C’erano quei 4-5 fumatori che si mettevano dietro nella barcaccia. Io dicevo ai compagni: “Mentre andiamo allo stadio non fumate cazzo, che me dà fastidio sta puzza di fumo. Anche se aprivano i finestrini dietro, Nela, Bruno Conti e i più assatanati”. Allora quando arrivava un po’ di fumo, io tossivo e gli dicevo a Liedholm: “Mister, però i ragazzi non possono fumare, non gli si può vietare di fumare?”. Lui mi rispose: “Graziani cosa vuoi fare, sono viziati e lasciamoli perdere”. Io gli dissi: “Ma come lasciamoli perdere Mister? Ragazzi basta fumare avete rotto le scatole”. Poi lui non fumava per niente (Ride, ndr). Quando arrivammo allo Stadio c’erano già 50mila persone dentro. Alle 10:30 aprivano i cancelli, quando arrivavi all’una per vedere il campo già ti entusiasmavi perché c’erano 50mila persone. Io a Roma non ho mai trovato meno di 50/60mila. Poi nei grandi scontri arrivavamo a 80mila, ma all’una c’erano già 50mila persone. Ma la cosa bella è che quando andavamo a vedere il campo io dicevo: “Ragazzi, anche oggi c’è l’odore della mortadella”. Perché la gente arrivava con le ciriolette con la mortadella e ti veniva fame.

Che calcio che ci sta ricordando…
Ma ora ve ne dico un’altra. Quando giocammo in Coppa dei Campioni e giocammo contro il CSKA Sofia, vincemmo 1-0, andai a festeggiare sotto la Curva e saranno entrate 20/30 persone. A un certo punto ci abbracciammo tutti. Mi abbracciò una ragazza, che non so come abbia fatto a scavalcare, che aveva un alito…Mi sono chiesto cosa si fosse mangiata. Mi ha dato una zaffata che per poco non mi ammazza. Ma la cosa bella è che quando andavi in Curva Sud, una parte di tifosi riusciva a scendere e a venirti ad abbracciare, anche se non si poteva fare. Riuscivano a farlo e poi c’era quello spettacolo dei ragazzi con le bandiere intorno alla pista. Ora non ti danno modo di fare una cosa del genere. Vedere quei 10 stendardi era uno spettacolo meraviglioso. 

Dopo la vittoria contro il Brasile c’era la consapevolezza di poter vincere il mondiale?
Io ero negli spogliatoi perché mi ero fatto male alla spalla e dovevo tenere il ghiaccio almeno una mezz’ora. Quando ho sentito il boato a degli inservienti spagnoli gli ho detto: “Vai a vedere cosa è successo perché o abbiamo fatto gol o lo abbiamo preso”. Questo signore va su, torna moggio moggio e io ho pensato: “Ha fatto gol la Germania”. Lui, invece, mi ha detto: “Peccato per l’Italia perché Cabrini ha sbagliato il rigore”. Mi ricordo che quando sono rientrati negli spogliatoi, tutti a dire ad Antonio di stare tranquillo. C’è stato un affetto meraviglioso verso Cabrini che era giovanissimo. Dopo il Brasile abbiamo detto: “Abbiamo fatto 30 ora facciamo 31”. Poi non sapevamo se avremmo giocato contro la Francia o la Germania. Il cammino era lungo, ma la consapevolezza che tutto potesse succedere c’era.

Ancora oggi il mondiale dell’82 è ricordato con maggior gioia e sentimento di quello del 2006…
Questo mi fa piacere, quando si vince fa sempre bene per tutti.

Ringraziamo Ciccio Graziani per essere stato con noi.
Alla prossima e sempre Forza Roma!

 

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